Autori come Stephen Levine, Paolo Knill e Natalie Rogers, che sono tra i fondatori del metodo delle Arti Terapie Espressive, hanno scritto diverse opere per divulgare i fondamenti del metodo e non è mia intenzione fare una sintesi o, ancor peggio, un “copia incolla” delle loro affermazioni, allo scopo di illustrarvi questo innovativo approccio, le cui origini risalgono ai primi anni del 1970.
Vi presenterò invece che cosa sono le Arti Terapie Espressive e che cosa sono state per me, quando esse sono entrate a far parte della mia vita e le ripercussioni che tale metodo ha avuto nella mia storia personale.
Nel fare questo inevitabilmente andrò a toccare concetti cardine che si trovano alla base della teoria di questo metodo, ma non semplicemente perché li ho letti in qualche libro, bensì perchè li ho percepiti sulla mia pelle, li ho visti attraverso i miei occhi, li ho ascoltati attraverso le mie orecchie, ho dato loro voce con le mie parole, li ho danzati e incorporati,...insomma...perchè li ho vissuti attraverso il mio corpo e la mia anima.
Non sono stata una bambina particolarmente creativa o meglio, non sono mai stata al centro delle attenzioni per eventuali doti artistiche che potessero far pensare ad una mia futura carriera da ballerina oppure da pittrice, attrice, scrittrice o musicista.
A dire il vero non sono neanche mai stata così “brava” a disegnare, se con queste parole intendiamo l’essere in grado di riprodurre fedelmente elementi della realtà, rispettandone proporzioni e quant’altro. Non ho mai seguito corsi di danza, di musica o di teatro e neanche mi sono mai distinta per particolari doti da scrittrice.
Sì, mi piaceva colorare, mi piaceva ballare, mettevo in scena piccoli spettacoli improvvisati con la mia amichetta del cuore davanti ad un pubblico immaginario, cantavo utilizzando un microfono di fortuna che poteva essere la colla presa dall’astuccio di scuola, o una spazzola, ma nulla di più... ho sempre fatto quello che un qualsiasi bambino fa e che, purtroppo, crescendo, smette di concedersi: immaginavo, sognavo, con poco creavo mondi nuovi e meravigliosi, trovavo soluzioni creative, mi stupivo e gioivo delle piccole cose.
Tutto era magia.
Crescendo ho dovuto mettere da parte questo “mondo magico” perché la società ti impone di crescere seguendo canoni e criteri specifici.
La vita scorre in fretta, ritmi frenetici, orari di lavoro impossibili, non c’è spazio per quello che Pascoli definiva il fanciullo che è in noi.
Per mia fortuna ho scelto di intraprendere un percorso di studi ed una carriera lavorativa indirizzati al sociale.
Quando è stato tempo di pensare a cosa volevo fare da grande ero confusa, avevo qualche idea generica e un po’ grottesca, neanche conoscevo la miriade di possibilità che il mondo del lavoro poteva offrirmi.
Di una cosa ero certa però: non volevo chiudermi in un ufficio davanti ad un computer.
Volevo stare a contatto con le persone, volevo offrire a me stessa la possibilità di conoscere nuovi modi di vivere, di pensare, di guardare alla vita.
Non sono mai stata una persona particolarmente loquace, anzi, sono sempre stata molto timida e riservata.
Eppure, nonostante ciò, sono sempre stata attratta dall’altro, da ciò che è diverso da me.
Mi è sempre piaciuto molto osservare e immaginare i mondi e le storie di vita che ci possono essere dietro ad ogni essere umano.
Se ci penso, fin dai tempi delle scuole elementari, ponevo particolare attenzione alle lezioni di geografia in cui si approfondivano culture diverse dalla nostra.
Questa bambina curiosa probabilmente non mi ha mai abbandonato ed è anche lei che probabilmente devo ringraziare per essere arrivata dove sono ora.
Oggi sono un’educatrice e da quasi quattro anni lavoro in una comunità per minori.
Negli anni ho cambiato diversi ambienti di lavoro e ho avuto modo di entrare in contatto con tantissime persone, di ogni fascia d’età, provenienti da diverse parti del mondo, con alle spalle storie di ogni genere, alcune delle quali pensavo di poter vedere solo nei film. La cosa più bella è che ognuna di queste persone, ogni mio incontro autentico con ognuna di esse, mi ha offerto un dono prezioso.
E’ in questa vastità e moltitudine di colori, suoni, sguardi, parole che ho potuto anche sperimentare il potere delle Arti.
In una delle mie ultime esperienze lavorative mi è stato chiesto di proporre dei laboratori per strutturare la giornata delle ospiti della realtà in cui lavoravo. Il mio primo pensiero è stato: “Aiuto! Ora cosa mi invento? Non ho nessuna idea, non sono creativa, non sono capace.”
L’unica cosa che avevo fatto negli ultimi anni era giocare a pallavolo, ma non potevo proporre nulla che implicasse movimento fisico.
Ho iniziato a cercare stimoli ed idee sui libri e sul web per arrivare a offrire laboratori improvvisati di scrittura creativa e di pittura, lavoravo con le “life skills” (abilità di vita), ho fatto del libro Disegnare le emozioni (M. Sunderland, Erickson, 1997) la mia principale fonte di ispirazione… e il risultato è stato sorprendente!
Mi limitavo a mettere a disposizione delle persone dei materiali, anche semplicemente carta e penna, e ad offrire loro qualche stimolo come potevano essere un’immagine, una frase... e i partecipanti, attraverso scritti oppure raffigurazioni grafiche, trovavano l’accesso al proprio mondo interiore!
Ne fui da subito sorpresa. Non chiesi mai a nessuno di loro di raccontarmi la propria vita o di scrivere il momento più bello o più tragico vissuto.
Eppure accadeva: era quello che si sentivano di fare, in tutta spontaneità.
Ho sentito il bisogno di acquisire conoscenze e competenze utili a padroneggiare un qualcosa di estrema potenza che in quel momento stavo solo abbozzando e che mi rendevo conto di dover maneggiare con cura, perché sono convinta possa diventare una vera e propria bomba ad orologeria se riposto in mani non competenti.
Da qui sono diventata ancora più determinata nel voler intraprendere un percorso di studi nelle Arti Terapie, ma non volevo limitarmi nel formarmi “solo” in una disciplina.
Avevo il desiderio di acquisire più strumenti possibili da poter adattare in base alla persona e al momento specifico.
Ho aspettato per anni di trovare il corso fatto su misura per me, ed è nel 2017 che ogni mio desiderio sembra trovare risposta con un percorso di formazione triennale in Arti Terapie Espressive presso l’Istituto RES di Torino.
Con qualche timore, tipico di qualsiasi nuovo inizio, decido di intraprendere questa strada.
Il metodo seguito dalla scuola, pioniera in Italia delle Arti Terapie Espressive, trova le sue origini nei primi anni del 1970 quando Shaun McNif, Paolo Knill, Norma Canner e altri hanno fondato il primo programma di terapia espressiva al Lesley College Graduate School di Cambridge, MA (USA).
Le Arti Terapie Espressive si differenziano dalle più conosciute Arti Terapie Specializzate (Danzaterapia, Arteterapia, Drammaterapia, Musicoterapia) per il loro approccio intermodale e polistrumentale, secondo il quale non è possibile scindere un’arte dall’altra all’interno di un processo di creazione.
Spetta al terapeuta di Arti Terapie Espressive comprendere qual è lo strumento espressivo più idoneo tra ritmo, movimento, arti plastico-pittoriche, scrittura creativa e teatro, in una determinata situazione, a seconda della persona e dei bisogni che porta in quel momento.
Le Arti Terapie Espressive sono “un approccio terapeutico che mette la creatività al centro dell’esperienza umana” (S. Levine).
L’arte diventa strumento sensibile per facilitare le proprie capacità espressive e la consapevolezza circa se stessi, come siamo fatti e che cosa c'è dentro di noi, con l’obiettivo di favorire la scoperta del sé e la ricerca di benessere.
Esse hanno infatti la capacità di “promuovere e sostenere i processi vitali, creativi ed energetici dell’individuo riportandolo in contatto con il potenziale di risorse che non pensava di possedere” (Sensale, 2017).
L’arteterapeuta non è in questo caso il curatore, lo sciamano, lo psicoterapeuta o colui che tutto interpreta e che ad ogni domanda trova risposta.
Secondo questo approccio, è un facilitatore formato, dotato di importanti competenze tali da riuscire a mettere a disposizione della persona gli strumenti più idonei affinché quest’ultima possa intraprendere il suo percorso interiore e trovare le proprie risposte.
Il viaggio creativo attraverso le arti consente l’esplorazione del proprio universo interiore, grazie ai personali significati che i clienti riescono ad attribuire alle loro produzioni artistiche.
Esso diventa lo strumento per porre ordine ed equilibrio nel caos interno di affanni o ricordi spiacevoli e non. Inoltre, porta cura o sollievo ai propri intimi nuclei di sofferenza.
Tutto questo è reso più accessibile dal simbolismo tipico dell’arte per cui si può superare il senso del “troppo personale per essere esposto“ (Errico, 2018), che molti vivono di fronte all’opportunità di raccontare di sé con le parole.
E’ il cliente a decidere fino a dove spingersi e fino a dove raccontarsi. Il tutto comunque sempre protetto dalla metafora dell’arte e in un contesto privo di giudizio di cui l’arteterapeuta si fa garante.
Tali Arti non richiedono particolari abilità tecniche: esse si basano sul principio di bassa competenza-alta sensibilità (Knill, 2004) che fa sì che il focus diventi il processo creativo stesso e non solo il prodotto artistico, senza preoccupazioni e pressioni di risultato.
Non vi è pertanto alcun fine estetico, se non per quanto riguarda la propria personale ricerca del gusto del bello.
Di tutte queste nozioni altamente teoriche ho potuto fare esperienza diretta attraverso la mia formazione presso l’Istituto RES.
Qui ho potuto dare un nome e un ordine a tutti quegli aspetti di cui avevo fatto precedentemente esperienza, seppur in maniera poco consapevole, e che sono alla base del metodo delle Arti Terapie Espressive: l’incontro autentico con l’altro, il criterio di bassa competenza-alta sensibilità, l’attenzione al processo artistico e non solo al prodotto finale, il cliente come soggetto attivo del proprio percorso di crescita e cambiamento, l’arteterapeuta come facilitatore e l’arte come veicolo attraverso il quale dare voce anche agli aspetti più intimi del proprio sé.
Questo percorso mi ha dato modo di tornare in contatto con quella bambina curiosa che la crescita mi aveva portato a zittire e a ritrovare in maniera più consapevole ciò che nelle mie precedenti esperienze lavorative avevo sperimentato seppur in maniera del tutto casuale.
Ho avuto modo di testare in prima persona la potenza del metodo.
Ho riscoperto e valorizzato caratteristiche vitali come la spontaneità, la vitalità, la gioia e l’amore e ho potuto modificare ed evolvere i miei modelli relazionali, secondo il concetto per il quale nuovi e frequenti “buoni incontri” (quelli sostenuti nel metodo delle Arti Terapie Espressive), modificano implicitamente i precedenti “modi di stare con l’altro” (Stern, 1998), diventati ormai inefficaci.
Sono fortemente convinta che ogni essere umano, indipendentemente dalla propria professione, dovrebbe ritrovare e dare spazio al fanciullo che è in noi, andando a rompere schemi abituali di pensiero e comportamento, tipici degli adulti, che spesso si rivelano essere inefficaci ma che proprio perché ormai conosciuti e ripetuti offrono un senso di grande sicurezza, nonostante siano spesso la causa di molti malesseri.
A tal riguardo le Arti Terapie Espressive sono uno strumento molto potente ed efficace che varrebbe la pena sperimentare.
Non abbiate timore, nella peggiore delle ipotesi vi ritufferete per qualche istante nel “mondo magico” di quando eravate bambini.
Ciò non potrà fare altro che regalarvi qualche attimo di spensieratezza e leggerezza, ormai diventati sempre più rari e preziosi, che potranno alleggerirci nell’affrontare la nostra routine.
In casi migliori invece quel “mondo magico” potrebbe offrirvi nuove chiavi di lettura per affrontare il vostro qui ed ora, rompendo schemi ormai diventati inefficaci.