Che cos’è il teatro?
Il teatro è una forma d’arte basata sulla rappresentazione (messa in scena) di fatti o storie dell’esistenza reale delle persone, oppure che alla realtà umana sono ispirate (fiction).
Con il teatro si possono anche portare in scena circostanze relative a personaggi o a vicende immaginarie, frutto di pura invenzione narrativa (fantasy), oppure ispirate a misteri, credenze, miti, fiabe, parabole o eventi miracolosi, ovvero al bagaglio delle storie facenti parte della cultura e delle tradizioni di vari popoli.
Il teatro è una forma d’arte che trae origine dal bisogno umano di espressione creativa ma anche di drammatizzazione dei fatti della propria vita (interna ed esterna), come conseguenza della tensione psichica a risolvere, ovvero a elaborare le proprie vicende personali, nel tentativo di accettarle e soluzionarle interiormente.
Il teatro è dunque un’espressione specifica della creatività umana in cui la realtà (vera o fantasticata che sia) viene mostrata ad un pubblico di spettatori entro una cornice di finzione (realtà del “come se”), spazio nel quale per un accordo tra narratore, attore e spettatore, regna sempre la (1)sospensione dell’incredulità (Coleridge 1817).
Il luogo della rappresentazione si chiama anch’esso teatro, talvolta un edificio appositamente adibito, all’aperto (anfiteatro) o al chiuso, una chiesa o il suo sagrato, la strada, un carrozzone, in altre parole un qualsiasi spazio nel quale poter allestire un palcoscenico e radunare un pubblico.
La funzione del teatro
Il teatro chiede allo spettatore di prestare interesse verso ciò che sarà drammatizzato.
Il teatro và dallo spettatore per mostrargli una storia dalla quale lasciarsi trasportare e in cui riconoscersi e riconoscere la propria appartenenza alla materia dell'esistenza (empatia, immedesimazione, “sofferenza a distanza”).
Non sempre dunque mero intrattenimento, sovente un'opportunità da cui desumere significati, intuizioni e riflessioni su di sé e il mondo, un mezzo per approfondire (sia come attore che come spettatore), ruoli e condotte mai esplorate prima e che possano rinforzare l’identità personale e l’adattamento all’esistenza quotidiana.
Gli effetti di alleggerimento (catarsi, rilascio emozionale) prima e integrativi dopo (consapevolezza e risistemazione del materiale psichico prima interiormente disordinato), dovuti al teatro sono noti e sono ovviamente diversi tra chi agisce l’atto teatrale (attore) e chi vi partecipa osservandolo (spettatore).
Il teatro è dunque in sé intimamente terapeutico, anche quando questa funzione non è esplicitamente dichiarata.
Inoltre, per chi lo pratica in quanto laboratorio espressivo o come intervento terapeutico vero e proprio(2), il teatro è un’attività di gruppo che insegna a cooperare, esprimersi autenticamente e crescere creativamente insieme agli altri e, come già osservato sopra un’esperienza attraverso la quale apprendere a sciogliere ed elaborare sentimenti e vissuti trattenuti, grazie a uno spontaneo processo di catarsi(3), cui deve seguire una presa di coscienza di sé.
Il teatro o meglio le Arti del Teatro o i Metodi di Azione Teatrale(4), diventano dunque uno dei mediatori artistici per eccellenza impiegati nelle Arti Terapie Espressive a scopo di potenziamento risorse, benessere e guarigione interiore.
Teatro, Gioco e Rito
Benché il teatro per dirsi tale abbia bisogno di una dimensione “istituzionale”, ovvero è necessario che oltre a una storia da drammatizzare vi sia un luogo fisico in cui rappresentarla, degli attori che la portino in scena e un pubblico che ne faccia da testimone, il teatro è sempre esistito, prima delle sua istituzionalizzazione, nelle sue forme primigenie del gioco e del rito (Covella, 2006) e della naturale attività fantastica e proiettiva umana.
Il gioco spontaneo che diventa teatro
E’ il bambino, una volta maturo da un punto di vista psicologico e relazionale(5), a portare in teatro, il padre, la madre, il lupo cattivo, il gendarme, il drago e la principessa.
Alla presenza di un pubblico immaginario, il bambino costruisce storie e mette in gioco il mondo, nel tentativo di padroneggiarlo, unitamente al mero piacere di giocare e/o costruire fatti creativi di pura immaginazione.
L'intensità drammatica del gioco del bambino talvolta è tale da consentirgli di portare in scena pezzi del suo teatro interno, come ad es. paure, desideri, legami affettivi, episodi mal digeriti, che hanno bisogno di essere esperiti ed elaborati.
Dunque, attraverso il gioco del come se, immergendosi nell’area transizionale, spazio privato sospeso tra realtà e immaginazione in cui tutto è possibile e credibile (Winnicott 1971)(6), il bambino apprende ad esplorare e affrontare una realtà che diversamente potrebbe fargli paura e di conseguenza spingerlo a sottrarsi al compito di crescere.
Il rito come teatro
Nel rito è invece la dimensione collettiva, comunitaria e anche transculturale dell'esperienza umana la caratteristica portata a rappresentazione.
E’ l’intero popolo con le sue speranze, paure e aspettative che partecipa (come officiante, personaggio o astante), a quel rito originato dalla necessità di rappresentare, rivivere e dare significato alle finestre più salienti della vita umana, in una cornice di sacralità e mistero.
In tal senso dunque il rito diventa teatro, che è il luogo del mostrare a terzi, perché mostra e celebra la vita nel tentativo di renderla sacra, fascinosa e percorribile.
E’ il timore degli Dei o il bisogno di propiziarsene il favore a farsi rito, è la necessità di piegare la natura e gli eventi a proprio favore a far nascere la danza della pioggia, la festa del raccolto, il rito di ringraziamento della caccia andata a buon fine, la cerimonia per l’unione dei giovani sposi o il culto che accompagna il defunto nell’aldilà e i suoi parenti nel tempo del lutto.
Come ha fatto osservare lo storico olandese Gerardus Van der Leeuw (1890-1950), il rito appare quando arriva il bisogno di intervenire sulla realtà talvolta faticosa e dolorosa del quotidiano, prima che essa prenda il sopravvento sullo spirito umano, permettendo alla sfiducia di regnare sulla speranza: “per rendersi padrone della vita, per strapparle le possibilità che contiene, è necessario domarla, conformandola ad una condotta fissa”(7), che è appunto contenuta nell’aspetto ripetitivo del rito.
Il rito in questo senso non corrisponde al comportamento ossessivo e patologico di un singolo individuo(8) o peggio di un intero gruppo sociale, bensì all’incorniciamento di attività del quotidiano in passaggi o fasi codificate, talvolta prescritte e rafforzate da significati connessi a convinzioni culturalmente (o scientificamente) condivise dal gruppo sociale stesso, oppure legate a miti, leggende, voleri superiori.
Dunque per passare a rito, un’attività del quotidiano deve essere protocollata, scandita da fasi e passaggi più o meno pedissequamente eseguiti e soprattutto caricati di significati.
Quindi fare il tè può diventare la cerimonia del tè soltanto quando acquista un significato e viene codificato in passaggi prescritti, analogamente il rito della semina durante la luna piena.
Non è dunque rito un protocollo di lavoro che non rimanda a significati, che non è intriso di una qualche speciale atmosfera.
Non è rito dunque l’atto di lavarsi i denti o fare la spesa tra le corsie del supermarket, ma lo può diventare, se sappiamo renderlo tale.
Che il rito sia “laico” come la colazione tutti assieme la mattina, il pranzo della domenica, la festa dei 18 anni, etc. o “religioso” (il rito della messa, della preghiera ai defunti, delle invocazioni a Dio, delle abluzioni o delle purificazioni, della camminata in processione, etc.), la ritualità umana, come processo di regolamentazione e celebrazione del quotidiano, esiste allo scopo di rendere comprensibile, accettabile e governabile la vita stessa: “rito e teatro sembrano assolvere la medesima funzione sociale in quanto (...) rappresentano lo strumento attraverso il quale l’uomo cerca di superare il suo rapporto conflittuale con una realtà avvertita spesso come ostile” (Cuvella, 2006).
L’attività proiettiva umana, come specchio del teatro interno: il dramma
L’idea di base, ha detto Salvo Pitruzzella, è che la persona sia intrinsecamente “drammatica”, ovvero capace di portare nella scena della vita, i desideri, le paure, i fantasmi e demoni che popolano, a sua stessa insaputa (se lo sapesse se ne spaventerebbe!), il suo mondo interiore.
Ma un conto è mettere in scena nella vita di tutti i giorni e in modo agito, inconsapevole e infruttifero il proprio teatro interno, un conto è portarlo in teatro nello psicodramma, nella drammaterapia o nelle Arti del Teatro Artes, con un dispositivo e in un clima facilitante che fanno la differenza.
Differiscono perchè clima sicuro e metodo creano quello che sempre Pitruzzella ha definito come il processo di azione terapeutica in cui la “mediazione artistica è la possibilità di una guarigione che prescinde dalla verbalità e dalle abilità cognitive”(9) e l’intensità drammatica del gruppo o del singolo trovano spazio espressivo e luogo sicuro per farsi teatro, questa volta non nella vita, ma per guarire la vita che ha bisogno di essere guarita(10).
Il teatro vero e proprio, ovvero il teatro istituzionalizzato, tra cui anche il teatro Artes beneficia proprio del contributo della capacità umana di essere spontaneamente drammatici, di giocare al come se, di portare il mondo “a rito”.
Gioco, rito, dramma e componente fisica del teatro
Se attraverso il gioco con i ruoli il bambino mette in atto la trasposizione dalla realtà ordinaria al mondo del come se con tutto il suo corpo, libero di muoversi ed esprimersi spontaneamente, talvolta vorticosamente (e ovviamente con tutto il suo sistema di affetti), così nel rito il popolo celebra l’evento con la massima partecipazione fisica e viscerale possibile(11), affinché la realtà cui il rito fa riferimento possa essere vissuta, abitata e fronteggiata al meglio.
Analogamente avviene quando il gioco del teatro si popola di personaggi umani ed è un qualche dramma a essere portato sul palcoscenico: la presenza olistica, pancia e cuore, deve essere piena, non solo mentale, ma profondamente tonica e somatica.
Solo in questo modo “diventiamo” soldati, anziane signore afflitte dall’artrosi, lupi di Cappuccetto, pazienti senza malattie, innamorati sotto il balcone della loro bella.
Diventiamo non “facciamo” il soldato, l’inmamorato , la vecchiettina.
In tutti e tre i casi, gioco infantile del come se (gioco simbolico con i pupazzi, i burattini, ad es.), rito e dramma, assolvono alla medesima funzione di portare la vita a rappresentazione, nel tentativo di assumerla e accettarla olisticamente, mente corpo e spirito.
Ciò ci fa capire quanto la componente fisica del teatro sia essenziale per il suo impatto sull’attore e sullo spettatore: permette di vivere pienamente ciò che viene rappresentato, di mostrarlo al pubblico con l’intero corpo, invece che semplicemente raccontarlo, affinché arrivi dritto al sistema psicosomatico dello spettatore, permettendogli di immedesimarsi.
Il teatro è dunque tale quando il rapporto tra la storia rappresentata, gli attori e il pubblico si fa intensamente fisico, attivando la dimensione corporea, sensoriale e spaziale dell’esperienza teatrale stessa, la sola in grado di generare gli effetti trasformativi attesi.
Il teatro non è dunque recitare o mimare, bensì attraversare uno spazio fisico in cui la vita viene rappresentata, mostrata, esplorata e vissuta come se fosse vita vera, carne e sangue.
Questa è la ragione per la quale molti training teatrali sono profondamente fisici e bioenergetici.
Etimologia del termine
Teatro viene dal latino theatrum, e questo a sua volta dal greco ϑέατρον (ΘΕΑΤΡΟΝ, theatron), che è a sua volta derivazione del verbo del greco antico ϑεάομαι (theáomai)(12), che significa:
1) guardare, osservare, considerare, contemplare (anche con la mente)
2) stare a vedere, assistere come spettatore;
3) vedere, scorgere, riconoscere;
da cui comprendere l’insieme dei significati e delle funzioni attribuibili al teatro stesso, inteso come atto di fruizione di una rappresentazione scenica della realtà, vera o immaginata che sia, mediante un comune accordo sul come se e la conseguente sospensione dell'incredulità.
Inoltre, il teatro inteso come luogo fisico, è anche la “costruzione adibita alla rappresentazione di opere drammatiche e di altri tipi di spettacolo”(13).
L’edificazione di luoghi appositamente destinati alla rappresentazione del dramma risale al teatro classico greco e romano e segna il passaggio dal “teatro spontaneo” (gioco di strada, rito non ufficiale e dramma personalmente vissuto) al teatro istituzionale, ovvero alla rappresentazione effettuata alla presenza del pubblico, contrappeso e testimone concreto di quanto avviene sulla scena, entità fisica ed emozionale in grado di validare l’azione mostrata, renderla credibile e per questo da recepire (in parte o in toto), oppure criticabile e dunque possibile di respingimento.
Teatro o Dramma?
Come accennato, esiste un’altra definizione importante legata al termine teatro, che è quella che origina dal lemma dramma.
Esso proviene dalla parola greca drâma-atos, che significa vicenda, azione scenica(14) e che a sua volta deriva da dran, che significa fare, agire.
Il dramma (“drama” in inglese) è quindi azione, rappresentazione, ovvero il drama è la storia mostrata, ciò che viene messo in scena, mentre la parola “theater”, viene meglio impiegata per definire il luogo fisico in cui, sul palcoscenico, l’azione drammatica si svolge e in cui ci si reca per assistere al “drama”: today, we are going to the theater, to watch a Beckett’s drama = “oggi andiamo a teatro per assistere a una rappresentazione di Beckett”.
In italiano noi invece diciamo indifferentemente “sono andato a teatro” oppure “faccio teatro, partecipo a un corso di teatro” e utilizziamo restrittivamente la parola dramma per indicare un particolare genere teatrale (tragedia per lo più o comunque teatro “serio”), oppure, in senso negativo, la situazione nella quale qualcuno tende ad esagerare, “drammatizzare” appunto.
Nel linguaggio degli addetti tuttavia dramma, drammatizzazione, assumono la corretta accezione di azione teatrale in generale, come nel significato anglosassone del termine e nelle Arti Terapie Espressive l’atto scenico che non è semplice sketch o improvvisazione, bensì ponte per l’accesso all’intensità emotiva e psichica umana.
Cosa sono le Arti del Teatro?
Intendiamo con questa definizione, l’insieme delle tecniche teatrali introdotte in questo corso di Arti Terapie Espressive, in cui diventa preminente l’azione espressiva e creativa utilizzata a fini non prestazionali, bensì trasformativi, di cura del sè e benessere.
Tali tecniche sono basate principalmente sul contributo teorico-tecnico e metodologico di autori quali K. S. Stanislavskij, Jerzy Grotowski, Viola Spolin, Robert Landy, Sue Jennings, Salvo Pitruzzella e J. L. Moreno e inserite con flessibilità nel dispositivo di sessione delle Arti Terapie Espressive.
1.Si tratta di quel patto, fondamentale nel teatro come nella narrativa, in cui si accetta di credere sempre in ciò che viene rappresentato, purché rispetti principi di verosimiglianza e coerenza, affinché della storia drammatizzata ci si possa fidare, immedesimarsi, per essa palpitare o infine di essa sorridere. La definizione è di Samuel Taylor Coleridge Ottery St Mary, 21 ottobre 1772 – Highgate, 25 luglio 1834) è stato un poeta, critico letterario e filosofo inglese.
2. Terapeutico qui sta per indirettamente terapeutico, evolutivo, non per somministrazione di terapia o farmaco
3.La catarsi o rilascio emozionale è la scarica di un eccesso di emotività a lungo trattenuta (riso, pianto, rabbia, tremore). Una pratica ritenuta benefica perché “liberatoria”. Platone per primo la definisce come “il conservare il meglio, per lasciare il peggio”. E’ di Aristotele la definizione universalmente nota, ovvero quella di “purificazione dalle passioni” ed avveniva nell’animo dello spettatore che a teatro assisteva e partecipava alla tragedia. E’ ciò che accade quando al cinema ci commuoviamo. Moreno riprende il concetto aristotelico, ma considera la catarsi dello spettatore una catarsi passiva e secondaria, mentre concentra l’attenzione, grazie all’esperienza del Teatro della Spontaneità, sull’effetto catartico che ha per gli attori il recitare le diverse parti messe in atto nella rappresentazione. Sono gli attori dunque, in modalità attiva e primaria, a bonificare il loro animo attraverso la catarsi artistica e integrarlo in un secondo momento, da Moreno definito catarsi d’integrazione, nella consapevolezza di sé.
4.Potete dire, nel presentare le attività del canale “teatro”, che utilizzate le Arti del Teatro, le Arti Teatrali, i Metodi di Aziona Teatrale, ma siate attenti a non dire “adesso facciamo teatro”, “fare teatro”, perchè non è corretto, è slang, ma non rappresenta la sostanza delle cose. In ARTES non facciamo teatro, bensì insceniamo drammi, assumiamo e agiamo ruoli e giochiamo scene, drammatizziamo e trasfiguriamo la realtà, mostriamo il mondo agli altri (il pubblico).
5. Si intende con ciò la raggiunta capacità del bambino di riconoscere l’esistenza degli altri come autonoma dalla sua. Il gioco di ruolo, detto anche gioco simbolico o gioco imitativo, si sviluppa pertanto tra i 2 e i 3 anni di vita, quando il bambino oltre ad acquisire la differenza tra sé e l’altro, comprende che gli altri significativi della sua vita possiedono esigenze, desideri ed emozioni diverse dalle sue e infine ne sa leggere le intenzioni e gli stati interni oppure gli attribuisce i suoi (proiezione). Il tal modo riesce comprendere e imitare la maggior parte dei comportamenti e delle proprietà di ciascun ruolo. Da cui l’immedesimazione nei ruoli degli altri, da cui la capacità di giocare a drammatizzarli.
6. Troverete ampia esposizione della teoria di Winnicott relativamente al gioco, in successivi articoli.
7. Sta in “Lo sguardo e la maschera”, S. Pitruzzella, Tutti Autori, Lampi di Stampa, pag. 32
8. Come invece è nelle attività rituali, ripetitive e afinalistiche del disturbo ossessivo-compulsivo.
9. Guarire con le Arti drammatiche, Giusti e Passalacqua, Sovera Edizioni, pag. 111
10.Dire che qualcuno “sta facendo teatro”, oppure “si sta facendo un film”, spiega molto bene il concetto fin qui esposto, ovvero il fatto di portare i propri fantasmi nella vita, agendoli senza consapevolezza, credendo di vedere ciò che non c’è e spingendo gli altri ad assumere ruoli non desiderati, i ruoli del proprio copione interno. Il teatro delle Arti Espressive, come la drammaterapia o lo psicodramma vogliono invece assumere la funzione di collocare quei fantasmi, quel dentro magmatico e caitico, su di un palcoscenico sicuro, dove poterli giocare e risolvere.
11.Si pensi ai riti di espiazione e di mortificazione dei flaggellanti o dei battenti durante le processioni dei misteri (riti religiosi di antica origine, risalenti al medioevo cattolico, presenti ancora oggi in Spagna e in Italia), oppure i riti esorcistici contro il tarantismo che affliggeva i “tarantolati”, le danze dei pellerossa per la ricerca della visione o il passaggio all’età adulta, i canti carismatici, le danze turbinanti dervishe, etc.
12. θεάομαι (theaomai) è un verbo importante in greco, se non dal punto di vista grammaticale (non ha particolari costruzioni), certamente da quello culturale. Significa, infatti, guardare, osservare, ammirare, essere spettatore, e in un mondo come quello greco, dove l'esperienza visiva di spettacoli e opere d'arte (templi, sculture...) era una sorta di cibo quotidiano, si può capire come mai venisse usato frequentemente.
A tale verbo si associano, tra gli altri, i sostantivi:
θέα (thea) = vista, contemplazione, spettacolo;
θέατρον (theatron) = teatro (in italiano l'aspirazione connessa alla lettera θ/th si perde, ma si conserva nell'inglese);
θέαμα (theama) = spettacolo, da cui il termine politeama, luogo dove si può assistere a spettacoli di generi diversi (il Politeama di Palermo si chiama così per questo)
13. (Fonte: Dizionario Corriere della Sera)
14. Fonte: De Agostini, Enciclopedia Il Sapere
Bibliografia
Giuliana Cuvella (curatrice): Storia del teatro..in tasca, Simone Editore, 2006
S. Pitruzzella-G. Errico, Manuale di Narrazione creativa, F.Angeli 2012
S. Pitruzzella-C.Bonanomi, Esercizi di creatività, F.Angeli, 2009
S. Pitruzzella, Persona e Soglia, fondamenti di drammaterapia, Armando, 2003
S. Jennings e altri Autori, The Handbook of dramatherapy
R. Landy, Drammaterapia, concetti, teorie e pratica, Ed. Universitarie Romane, 2005
C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, 2013 n.ed.
J.L.Moreno, Manuale di Psicodramma, Astrolabio, 1985
D. Winnicott, , Gioco e realtà, Armando, 2005
E. Giusti e L. Passalacqua, Guarire con le arti drammatiche, Sovera Edizioni
S. Centonze (a cura di), Manuale di Arti Terapie, Circolo Virtuoso Edizioni
J. Fox, Dramatized personal stories in Playback Theatre, Psychodrama, Hettl, 1991
Luigi Lunari, Breve storia del teatro, Bompiani, 2007
Articoli, riviste
Robert Landy, Il concetto di ruolo in Drammaterapia, Tratto dal volume: Essays in Drama Therapy. The Double Life. Jessica Kingsley Publishers, 1996, a cura di S. Pitruzzella
C.V.Bussi, Drammaterapia e psicodramma, Artiterapie n°2-3, 2003
Michele Cavallo, Teatro e Psicologia, un incontro necessario, Teatro Video Terapia
Leena Philipose, An exploration of four approaches to countertransference in Drama Therapy, Concordia University Libraries
S. Jennings, Embodiment-Projection-Role, dal sito dell’autrice. Reperibile anche in italiano in rete con il titolo: Sue Emmy Jennings, il paradigma EPR, Traduz. Grassi-Pitruzzella
S. Pitruzzella, Drammaterapia, rivista “Artiterapie”, reperibile in Internet con il titolo qui indicato